Arròsa de monti, rosa de monte, arròsa de padenti, arròsa piònica, arròsa de margiani, rosa de coga.
Ad aprile e a maggio tra l
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Sai perché le bottiglie di vino sono da 750 ml (75cl) e non da un litro (100 cl)?
Nel XIX secolo i principali produttori di vino erano francesi e i loro clienti gli inglesi. L’unità di volume degli inglesi era il “gallone imperiale” ovvero 4,54609 litri.
Per semplificare i conti di conversione, trasportavano vini di Bordeaux in botti da 225 litri, esattamente 50 galloni, corrispondenti a 300 bottiglie da 75 cl.
Per un calcolo più facile, adottarono 1 barile=50 galloni=300 bottiglie.
In questo modo 1 gallone corrispondeva a 6 bottiglie da 75 cl.
Ancora oggi le scatole di vino hanno 6 o 12 bottiglie.
É tempo di recuperare gli antichi metodi della nonna: efficaci, ecologici e... molto economici. Sì, perché se è vero che amiamo la nostra terra, la nostra casa e la nostra salute dobbiamo cambiare le nostre abitudini anche nelle piccole cose.
Ad esempio, quanti prodotti industriali utilizziamo per la pulizia della casa? Io, purtroppo, tanti. Ma ho iniziato ad utilizzare prodotti più ecologici per le Cose di Casa. Ad esempio per sgrassare le stoviglie utilizzo i fondi di caffè, per lucidare il lavello in alluminio, il succo di limoni che magari non sono più tanto freschi. Al rientro a casa, raccomando tutti di togliere sempre le scarpe, evitando di portare batteri, residui inquinanti e sporco comune. Inoltre faccio sempre attenzione a non sprecare l'acqua.
Direte voi, che noia, non abbiamo tempo neanche per riposare! É vero, ma vi assicuro che non è tempo sprecato, che avrete in casa un buon profumo e molto meno inquinamento! E perché no, anche il portafoglio con qualche euro in più!
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Ispirandomi all'arte medioevale di conservare gli aromi e i profumi della natura, ho realizzato un pot-pourri, ovvero una miscela di piante e fiori secchi.
Ho raccolto in giardino e in campagna i fiori e i rametti di piante aromatiche che più mi piacciono.
Roselline, gerani, gelsomini, tulipani e tanti altri fiori e ancora: foglie di alloro, di menta, e di lavanda selvatica. Li ho fatti essiccare naturalmente senza nessun altro ingrediente e ora fanno bella mostra di sé in un vaso di vetro vintage recuperato in un vecchio armadio di casa.
Occorrente
Scegli i fiori che più ami e recidili poco prima che inizino a sfiorire
Procedimento
Dopo aver reciso i fiori e dividili in base al colore. Disponili su un vassoio ricoperto con carta forno. Stesso procedimento per le foglie delle aromatiche. Lasciali essiccare in ambiente aerato per qualche giorno. Quando risulteranno secchi, disponili a strati in base al colore in vasi di vetro trasparenti. Altrimenti fai un vero miscuglio, un pot-pourri classico e dividilo in ciotole di ceramica artigianale sarda.
La cassapanca tradizionale, Sa Cascia, è forse l’unico vero mobile sardo. Già, diffusa nel Medioevo, nella società pastorale e nomade veniva utilizzata per conservare armi e suppellettili varie, mentre nell'uso più recente diventa un baule che custodisce il corredo della sposa e i beni più preziosi della famiglia. Era presente in ogni abitazione e aveva sempre un posto d'onore nella disposizione dell'arredo. Quando si andava alle sagre delle chiese campestri, veniva utilizzata come baule da viaggio.
Un'antica leggenda racconta di un giovane pastore che viveva solo con il suo gregge, sulle scogliere a picco sul mare, a sud ovest dell'isola di Sardegna. Il vento e gli acquazzoni lo avevano tenuto in allarme tutto l'inverno ma finalmente era arrivata la primavera. Il tepore dell'aria e le giornate più lunghe lo mettevano di buonumore. La sua solitudine non era poi così male.
Ogni giorno godeva del profumo dei ginepri, dell'elicriso e del finocchio marino. In cielo i gabbiani volavano sereni e spesso, quando si avvicinava alla spiaggia, riusciva ad intravedere i fratini appena nati, che cercavano di spiccare il volo.
Un pomeriggio di maggio, girovagando con le sue pecore, immerso completamente tra il blu del mare e del cielo, vide qualcosa che increspava l'acqua. Era perplesso, non capiva cosa ci fosse in mare. A sera ritornò all'ovile. Dopo aver rinchiuso le pecore nel recinto, mangiò un po' di formaggio e un tozzo di pane. Era pensieroso. Guardò il cielo.
Le Plejadi si tuffavano nelle luci rosse del tramonto, l'equinozio di primavera era alle porte come ogni anno. Regnava il silenzio più assoluto. Solo la luna gli faceva compagnia. Era molto stanco ma non riusciva a prendere sonno, continuava a pensare all'acqua increspata e a quel movimento così misterioso. Decise così che all'alba sarebbe tornato sul sentiero per guardare meglio il mare.
Si alzò prima del sorgere del sole. L'acqua del mare era immobile, ferma come una tavola. I primi riflessi d'argento iniziavano a dipingere il mare. Esitavano timorosi, poi si fecero più nitidi e illuminarono pesci grossi come barche che guizzavano dall'acqua e correvano veloci in branco, lungo tutta la costa, fin dove la vista del giovane pastore poteva arrivare.L'inquietudine lasciò posto alla gioia. I suoi occhi si illuminarono in un sorriso. Decise che poteva rinchiudere i tonni in un recinto, così come faceva con le sue pecore.
Nacque così la pesca del tonno di corsa con tutti i suoi riti. A dir il vero furono gli arabi i primi a praticare questo tipo di pesca con le reti fisse come recinti. Forse il nostro pastore era uno dei tanti mori che per secoli hanno vissuto in Sardegna.
Piccoli paesi, borghi antichi, centri quasi disabitati, città metropolitane... in Sardegna ogni comunità ha il suo santo, o la sua santa, da venerare e da omaggiare con sagre e feste a loro dedicate.
Tra le tante curiosità che InsulaGolosaRicette può raccontarvi sulle feste religiose, abbiamo scelto S'Arramadura, perché richiama i profumi e i colori della natura.
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Vogliamo fare un viaggio alla ricerca della identità agro-pastorale, percorrendo l'isola di Sardegna in lungo e in largo, disegnando una costellazione di piccoli centri abbarbicati sulle montagne e di deliziosi borghi nascosti tra la macchia mediterranea, dove con i loro piccoli musei ci raccontano della vita nei campi, come si coltivava la terra e come si pascolavano le greggi.
Un mondo antico custodito in palazzi d'epoca o semplici case padronali, ci aspetta con le porte aperte.
"La magia è dentro di noi e gli oggetti possiedono tanta magia quanta noi decidiamo di regalare loro".
Al suono di queste parole è iniziato un pomeriggio all'insegna della curiosità. La padrona di casa Koendi, Claudia Zedda, antropologa e autrice di diversi libri dedicati alla Sardegna, ci ha accolto nella sua bella cucina dal tetto bianco, arredata con oggetti della tradizione sarda: alle pareti, piccole ghirlande di ramoscelli e cestini di asfodelo intrecciato. Sul tavolo, libri usurati dal tempo e oggetti in legno intarsiato. Sulle mensole, barattoli di vetro trasparente contenenti erbe e spezie preziose.
Dalle finestre la luce del pomeriggio abbagliava i nostri occhi. Tra sorrisi un po' scontati e presentazioni frettolose con le altre ospiti, il mio breve percorso alla "scoperta delle erbe magiche protagoniste degli amuleti della tradizione sarda" ha preso vita.
Il rito del buon mangiare è legato al luogo della cucina con le sue stanze attigue, il suo arredamento e il suo allestimento. La tradizione vuole che in cucina ci sia sempre la legna da ardere sistemata vicino al camino e che il forno per il pane, situato nel cortile, sia pronto per essere acceso almeno una volta alla settimana. Gli oggetti di uso quotidiano, come i cesti e le pentole, sono appesi alle pareti; gli utensili da cucina, perfettamente puliti, sostano ordinati sulla mensola. Alle finestre le tende di lino, con le pavoncelle decorate a pibiones, fanno entrare dolcemente la luce abbagliante del sole, riscaldando le stanze.
InsulaGolosaRicette vuole dedicare questa pagina al Corredo buono de sa domu, per intenderci, quello di nonna, ossia l'insieme di tovaglie, tovaglioli, grembiuli, copriletti, tende e..., tutti realizzati a mano con materiali naturali e preziosi.
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Meravigliosi nomi si danno in Sardegna al pettirosso; gli Algheresi lo chiamano consigliere, gli Oristanesi occhio di bue, i Sassaresi frate Gavino, e a Desulo iscargiu orrobiu. Questo uccelletto spavaldo fa qui i suoi nidi, e dura tutto l’anno. La leggenda vuole che annunci l'arrivo del freddo e della neve con il suo canto che si può udire per tutto l'inverno. Infatti è considerato il simbolo del nuovo anno e della rinascita in generale.
E' un uccello dalla vivacità inesauribile. Si muove sul terreno con una rapida successione di lunghi balzi, in posizione quasi curvata per un passo o due, poi si arresta in atteggiamento eretto, facendo vibrare talvolta ali e coda. Se incuriosito o eccitato, inclina rapidamente il corpo da lato a lato, muovendo ali e coda. Il volo è solitamente lento e breve. Il suo nome scientifico è Erithacus rubecola e raggiunge la lunghezza di 13/15 cm e ha la fronte, i lati del capo, la gola ed il petto rosso-arancio. Le parti superiori sono di un colore bruno oliva mentre l'addome è bianco; sia il becco che le zampe sono brune. Non c'è differenza fra soggetti di sesso diverso. Raggiunge un peso massimo di 16 grammi.
Nonostante l'aspetto apparentemente mansueto e diversamente da quanto si possa credere per un uccello di così piccole dimensioni, il pettirosso è estremamente aggressivo e territoriale nei confronti dei suoi consimili e di altre specie di piccoli uccelli. Se due esemplari dello stesso sesso dovessero venir confinati in uno spazio delimitato i pettirossi si azzufferebbero tra loro fino alla morte di uno dei contendenti o addirittura di entrambi. Il pettirosso si nutre soprattutto di vermetti, lumache e insetti.
Come chiamare la fortuna
....Si sposò di febbraio, sotto la neve, con il vestito nero, tre sassi in una tasca e nell'altra un ramo di pungitopo e uno di corbezzolo.
Prima di andare a prendere la sposa si guardò a lungo nella specchiera e cantò nove volte una filastrocca:
Sa mela 'e vrusciu
s'achet su tusciu
sa mela 'e lidone
lardu mi ponete.
Il frutto del pungitopo
mi fa tossire
il frutto del corbezzolo
mi fa ingrassare
(tratto da La leggenda di Redenta Tiria, di Salvatore Niffoi)
Gironzolando per i borghi e i paesi della Sardegna, è facile notare palazzotti "importanti" che fanno belle vista di sé in tanti centri storici: sono i Monti Granatici o Frumentari, oggi per la maggior parte convertiti in Musei o spazi espositivi.
In realtà anticamente erano delle vere e proprie banche del grano. I contadini chiedevano in prestito il grano e avevano poi l'obbligo della restituzione dopo il raccolto. La più antica in italia risale a Foligno nel lontano 1488.
In Sardegna nel 1624, all'epoca del Vicerè Giovanni Vivas fu istituito una iniziativa simile che aveva come obiettivo quello di arginare la piaga dell'usura a danno degli agricoltori più poveri e assicurare loro il grano e l'orzo necessario per la semina.
Ma non fu mai raggiunto l'obiettivo perché personaggi senza scrupolo prestavano somme e sementi ad interessi altissimi nonostante le pene che i "pregoni" viceregi commisuravano.
Nel decennio successivo la Diocesi di Ales insediò il vescovo Michele Beltran e sua, fu la proposta del Monti Granatici veri e propri. Ci vollero decenni se non qualche secolo perché funzionassero a dovere.
Nel 1851 se ne contavano 360 in tutta l'isola fino ad arrivare al 1927 quando furono trasformati in Casse Comunali di Credito agrario e nel 1953 a fondersi con il Banco di Sardegna.
Non è un caso quindi che il logo del Banco di Sardegna riproduce in maniera stilizzata "sa pintadera", un antico attrezzo nuragico, uno stampo in terracotta o ceramica, una sorta di timbro che veniva utilizzato per decorare il pane.
Nella foto: Monte Granatico nel Comune di Siliqua
Sa domu de Ladiri (o ladriri)
Sa domu de ladiri è la casa in mattoni di fango e paglia che anticamente definiva l'architettura paesana di molti centri del Campidano.
Deve il suo nome alla parola latina later, lateris che significa mattoni cotti. Con l'argilla, il fango e la paglia locale, si realizzava un impasto denso e plasmabile da cui nascevano i mattoni, realizzati a mano.
Stampi di legno rettangolari davano la forma, da cui venivano sfilati e lasciati a terra ad asciugare al sole: da qui anche il nome "mattoni cotti al sole".
Gli "ingredienti" utilizzati garantivano all'abitazione un isolamento termico naturale, tant'è, che si godeva il caldo in inverno e il fresco in estate.
Si dice che in Sardegna ci siano più pecore che abitanti. Non so se questo sia vero ma è certo che i sardi hanno gran rispetto per le pecore, perché sono fonte di reddito e alimento base della gastronomia tradizionale.
Infatti grazie alla fantasia e alla praticità dei pastori, le par
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