Pramma agreste, Buatta
La palma nana, o palma di San Pietro, (nome scientifico Chamaerops humilis L.) è un arbusto cespuglioso della macchia mediterranea, con fusto breve tipico nelle
...Colorati e croccanti, i biscotti glassati made in Sardinia, i Pistoccheddus de cappa sono i dolci delle feste e delle sagre paesane. I diavoletti cosparsi sulla loro glassa bianca mi ricordano tanto le bandierine che sventolano nelle strade dei paesi, in onore del santo che si festeggia.
Anticamente venivano preparati per le feste più importanti come i matrimoni o i battesimi, ma anche a Pasqua, tant'è che venivano utilizzati anche come base su cui adagiare le uova da regalare ai bambini, i "Cocoieddus de ou", i coccoetti con le uova.
InsulaGolosaRicette, custode delle tradizioni, ripropone la ricetta originale tramandata nei secoli dalle donne di casa.
Ogni notte le janas, le piccole fate birichine, si aggiravano nei boschi in cerca di erbe spontanee con cui preparare gli intrugli e le pozioni per far innamorare i giovani pastori.
Facevano ritorno alle domus de janas prima di mezzanotte, perché dovevano impastare e poi infornare il pane per i poveri. E quando il pane era pronto, non sprecavano mai il calore del forno. Si dedicavano quindi alla preparazione dei dolci deliziosi per incantare i giovani uomini il giorno seguente.
Le donne sarde sono come le janas: lavorano tutto il giorno e la sera, preparano ricette meravigliose.
InsulaGolosaRicette, custode di antiche ricette, ha voluto riprendere la ricetta dei pirichittus, i dolcetti di pasta dura ricoperti con la glassa al limone, tipici del sud Sardegna, che si confezionano soprattutto in primavera.
Il DES (Dizionario Etimologico Sardo) del Wagner alla voce Pirikittos scrive: "Certi zuccherini bisolunghi, molto dolci e assai stimati", = sp. perriquillo "Cierto dulce musy delicado de solo azùcar", facendo notare una sorta di somiglianza con i dolci spagnoli, i perriquillo. Che dire forse le janas hanno deliziato con i Pirikittos anche spagnoli ♥
Una leggenda popolare vuole che i gueffus, i raffinati dolci a base di mandorle, siano legati a storie di guerre e glorie medioevali. Il termine Gueffus deriverebbe da Guelfi, i fedelissimi del Papa che combattevano contro l'Imperatore. Il loro simbolo erano le torri dei castelli, merlate quadrate, che tanto ricordano le frange dei lati estremi della carta velina che avvolge i dolcetti.
Il nome gueffus è in realtà una derivazione dallo spagnolo "huevos", che richiama la forma ovoidale del dolce.
La realizzazione dei gueffus è molto semplice. Il trucco per una buona riuscita è sempre nella scelta di ingredienti di ottima qualità. InsulaGolosaRicette vi spiega come realizzarli.
Il vento di maestrale batte forte in Sardegna, soprattutto sulla costa occidentale. Da queste parti il mare è sempre spumeggiante e le nuvole corrono in cielo, disegnando strane figure.
Il vento porta con sé i suoni e i profumi del mare e della terra, del pane e dei dolci appena sfornati, che tanto assomigliano alle nuvole, bianchi e spumosi, come le meringhe sarde, conosciute da tutti come i bianchini sardi.
InsulaGolosaRicette ripropone la ricetta dei bianchittus, molto simili alle meringhe di oltremare, ma distinguibili per l'interno morbido e vellutato costellato mandorle. I bianchini sardi sono uno dei tanti dolci tipici offerti nelle ricorrenze come i matrimoni o le feste paesane.
Fino a qualche decennio fa, la festa di San Valentino, tanto attesa dagli innamorati, non veniva festeggiata in Sardegna, ragion per cui non esistono feste o sagre folckoristiche.
Esiste però un piccolo paese, nel cuore della Sardegna, Sadali, dove una cascata, dedicata a San Valentino, vanta un salto di 7 metri, nel pieno centro abitato. Caso unico in tutta Europa. Le acque della cascata confluiscono in una voragine sotterranea "Sa Ucca Manna", la bocca grande.
L'acqua continua la sua strada per 150 metri e finisce a valle dove i campi coltivati brillano rigogliosi. In epoca feudale l'acqua veniva utilizzata per alimentare i diversi mulini. Ancora oggi si può visitare un mulino ad acqua, poco distante dalla cascata e dalla chiesa cinquecentesca di San Valentino. In inverno aumenta la sua portata e lo spettacolo è garantito. Che ne dite di fare una gita fuori porta e festeggiare San Valentino con la dolce metà? Non dimenticate di preparare il dolce degli innamorati, la torta a forma a cuore.
La Sardegna è terra di magia e alchimia, di leggende e di ricette misteriose, custodite e tramandate di generazione in generazione in gran segreto. Le donne di casa, ancora oggi, creano piatti dal gusto autentico, con ingredienti semplici; il formaggio pecorino fresco, la semola e lo strutto sono sufficienti per preparare un sole dorato, che inondato di miele, è capace di far sognare e innamorare. Ma cos'è? È la sebada o qualsivoglia seada.
Anticamente era considerata una piatto unico per la sua completezza, ora è nella lista dei dolci più richiesti.
Il suo nome cambia a seconda delle zone di produzione e deriva dallo spagnolo cebara, ovvero "cibare, alimentare".
Secondo alcune testimonianze locali, deriverebbe invece dal grasso animale che, in origine, veniva utilizzato per la sua realizzazione, su ozu seu, ricavato dal grasso degli ovini.
Nato dove la pastorizia regnava sovrana, le se(b)adas erano il piatto delle feste più importanti, Pasqua o Natale, quando i pastori rientravano a casa dagli ovili dopo lunghi periodi e preparavano il formaggio pecorino fresco. Le donne, felici per il ritorno degli uomini, impastavano la farina con acqua e strutto, cantando le poesie in limba, la lingua sarda.
InsulaGolosaRicette vi propone la ricetta originale della seada, il dolce dalla forma del sole che illumina il gusto e la tavola.
Durante la settimana precedente alla ricorrenza di Ognissanti e dei Defunti, le donne si riuniscono nelle calde cucine autunnali e preparano su Pani e' saba, ovvero il pane con mosto di vino. Anticamente veniva regalato dalle famiglie più ricche ai poveri del paese. Era una sorta di omaggio delle persone più abbienti perché tutti pregassero per le anime dei defunti dell'intera comunità, tant'è che viene chiamato anche su pani e s'anima.
Oggi su Pani e' Saba è consumato anche in occasione di altre feste e sagre popolari presenti nell'isola durante tutto l'arco dell'anno.
InsulaGolosaRicette vi propone la ricetta tradizionale, "rubata" dal ricettario di mia madre.
Quali sono i biscotti più buoni della nostra infanzia? Vi ricordate quando la domenica mattina, dopo la Messa, andavamo a salutare la nonna e ci offriva i biscotti morbidi? Avevano un profumo delicato e ad ogni morso si facevano ancora più buoni.
Sono i Savoiardi, i tipici biscotti soffici di origine piemontese che in Sardegna vengono chiamati più comunemente Pistockeddos o Biscotti di Fonni perché è nel cuore della Barbagia e in particolar modo a Fonni che se ne vanta una produzione centenaria.
Ottimi da consumare anche con il caffè-latte o con il tè, i fragranti biscotti fonnesi sono molto più soffici dei cugini tradizionali piemontesi, che sono un po' più piccoli e tostati.
La preparazione dei savoiardi sardi non è semplice, ma se si seguono tutti i passaggi in maniera precisa, si rispettano le dosi e i modi, i risultati non mancheranno.
La ricetta di InsulaGolosaRicette è quella di un secolo fa, tramandata dalle donne sarde di generazione in generazione.
Nell'isola era usanza ricorrente preparare il pane durante la notte e infornarlo nelle prime ore del mattino. Ma era importante non lasciare sprecato il calore del forno a legna, quindi dopo aver cotto il pane, le donne si dilettavano a preparare e a infornare i dolci di mandorle e i biscotti morbidi o secchi. Venivano preparati in grandi quantità e li conservano in cesti di giunco rivestiti con tovaglie di cotone bianco o, più avanti con la industrializzazione, in scatole di latta decorate.
Tra i deliziosi dolcetti tipici, non possiamo non ricordare gli anicini sardi, i tradizionali biscotti secchi da inzuppo. Gli anicini sardi sono la testimonianza dell'influenza culinaria piemontese e genovese nell'isola, così come l'utilizzo del liquore di anice, anche se di provenienza francese.
In Piemonte la preparazione degli anisin si perde nella notte dei tempi, ma è inutile dire che il profumo intenso dell'anice e dei semi è sempre uguale nel tempo e in qualsiasi luogo. Ottimi per la prima colazione e non solo, gli anicini sardi li troviamo nelle tavole di ogni matrimonio, cresima, battesimo e qualsivoglia festa comandata. E per i più audaci, sono adatti da "intingere" in vino dolce e liquoroso, come il Moscato di Cagliari.
La ricetta di InsulaGolosaRicette è fedelissima a quella di un secolo fa.
Un tempo, l'unico divertimento dei bimbi era scorrazzare per i campi e per l'orto; giocavano a nascondino, si arrampicavano sugli alberi da frutta e facevano a gara a chi raccoglieva verdure più colorate e vistose. Ritornavano a casa sporchi e affamati, e come nelle favole le giovani mamme li aspettavano nella cucina che odorava di zucchero e mandorle. Dopo aver sentito i rimproveri in silenzio e si sedevano zitti sulle seggioline di legno e guardavano, con occhi vispi le mamme severe che preparavano i dolcetti di mandorle ricoperti con una cappa colorata, dalle forme più svariate, i fruttini sardi: pesche, fichi d'India, pere, mele, fette di angurie, i piccoli preziosi tanto amati dai bambini.
Per preparare i fruttini sardi occorre grande pazienza e maestria che le donne sarde sanno mette in mostra dando sfoggio ad un'arte spettacolare, degna di una galleria.
Ad onor del vero, furono gli arabi a portare in Sardegna e in tutto il Mediterraneo questo dolce così particolare! Pensate alla Frutta Martorana, tipico dolce siciliano, molto simile ai nostri fruttini per sapore e forma.
InsulaGolosaRicette vi propone la ricetta tradizionale che non è molto semplice da realizzare, ma vi dice anche che una volta presa la mano, il divertimento è assicurato. É un po' come giocare con i colori e con l'arte.
Fenici, arabi, spagnoli e poi pisani, piemontesi, francesi... si sono susseguiti nei secoli regalando all'isola sapienze culinarie che interpretate hanno preso una nuova strada diventando identitarie.
Questi popoli portarono dalle loro terre ingredienti altrimenti sconosciuti, come la cannella, le mandorle, i fichi, le nespole e tante altre varietà di frutta e di spezie pregiate.
Ogni prodotto, ogni ingrediente proveniente da lontano è poi diventato un tassello importante per tutta la gastronomia sarda.
Un esempio molto particolare è Su Pappai Biancu, il Biancomangiare.
Secondo alcuni è un piatto di origini francesi, il famoso Blanc Manger, secondo altri fu portato dagli arabi che lo chiamavano zirbaj.
Oggi è riconosciuto tra i PAT (Prodotti agroalimentari tradizionali) di tre regioni italiane, la Valle d’Aosta, la Sicilia, e ovviamente la Sardegna. Guarda caso tutte con influenze francesi e arabe.
Per altri esperti la paternità di questo dolce è da attribuire agli spagnoli-aragonesi, presenti in Sardegna già dalla seconda metà del 1300.
Si dice infatti che le famose città regie: Iglesias, Cagliari, Sassari, Castelsardo, Oristano, Bosa e Alghero sono le città dove Su Pappai Biancu è un dessert classico della tradizione, magari con delle varianti ma pur sempre un dolce tipico.
Ad esempio ad Alghero viene chiamato Menjar blanc come in Catalogna; una variante sono i tabaqueresovvero ravioli al forno di pasta violada, semplice sfoglia di farina e strutto, a cui si è data la forma delle antiche scatolette in cui di teneva il tabacco.
Per la ricorrenza di Ognissanti vengono preparati i tradizionali Papassinas. Il loro nome deriva da Papassa che tradotto dal sardo significa uva sultanina.
Il dolce viene preparato in modo diverso a seconda delle zone dell'isola ma con la costante del periodo autunnale, quando l'uva passa raggiunge la maturazione e quando dal mosto del vino si può preparare la sapa.
Nel sud dell'isola sono aromatizzati con la cannella e la vaniglia mentre nelle zone a nord prevalgono le scorze di arancio e di limone insieme ai semi di finocchio selvatico.
InsulaGolosaRicette vi propone la ricetta tradizionale, da gustare in ogni periodo dell'anno.
I mandorli rosati profumano il paesaggio rurale, l'aria si fa più tiepida, l'atmosfera della dolce primavera comincia a farsi sentire.
Finalmente il grigiore dell'inverno si sta allontanando e sulle tavole riscopriamo i prodotti più freschi: la ricotta, lo zafferano, le mandorle e il miele, ingredienti locali ideali per preparare i dolci di Pasqua, i soliti, i più buoni.
InsulaGolosaRicette ripropone le Pardulas de arrescottu, le formagelle di ricotta.
La loro forma ricorda le stelle che indicano la strada per ritornare a casa e il loro profumo è inconfondibile: sa di allegria, golosità e felicità tant'è che oramai sono diventate i dolci di tutte le feste, non solo pasquali ♥
Scopa mascius, sabina femina, tuvura, Era, Kastanariu, Iscoba
Il paesaggio sardo, in primavera, si veste di tanti colori. Tra la macchia spuntano anche i piccoli fiori penduli dal color bianco crema dell'erica arborea, un piccolo arbusto sempreverde, appartenente alla famiglia delle Ericaceae. La sua fioritura si ha fra gennaio e marzo con fiori bianchi o rosati, come campanule, riuniti in infiorescenze a grappolo, dal profumo elegante.
L'arbusto si presenta con una corteccia rossastra, e numerosi rami a portamento quasi eretto. Le sue foglie sono aghiformi, coriacee e persistenti, sono di un verde scuro brillante.
Mentre i suoi frutti sono capsule contenenti numerosi piccoli semi.
L'erica arborea resiste al passaggio del fuoco emettendo nuovi getti dalla radice. Il suo è un ottimo legno per lavori al tornio o di intarsio. E i suoi “ciocchi”, i ceppi radicali, molto duri e poco combustibili, vengono utilizzati per la fabbricazione delle pipe di erica bianca. Le venature del legno risultano più evidenti con la lucidatura.
E' chiamata anche la scopa dei boschi perché con le sue fronde si costruivano scope grossolane, per le aie e per gli ovili. Dal ceppo radicale d'erica sarda si confezionavano le pipe, considerate le migliori del mercato.
L’Erica non viene utilizzata in cucina, ma è una pianta mellifera, molto amata dalle api che bottinano i suoi fiori e ci regalano un miele scuro e dal profumo delicato e sottile dalle grandi qualità organolettiche. Plinio, già in tempi passati, lo soprannominò miele ericeo.
Dedico questa pagina ai Boschi della Sardegna, da me tanto amati, proponendo un passo dello scrittore Mauro Corona. Nel suo libro, “Le Voci del bosco”, Corona parla degli alberi e con gli alberi, individuandone carattere e inclinazioni. Le stesse voci le possiamo sentire nei boschi isolani perché Mauro Corona, con il suo animo gentile e la sua penna irruenta, mi ricorda la natura selvaggia della nostra terra e il temperamento dei sardi.
Buona lettura
Spesso accade che i bei ricordi ritornano alla mente senza preavviso. Basta un gesto, un oggetto, un luogo ed ecco che una serie di immagini riempiono la mente e il cuore, portandoci indietro nel tempo.
Per noi, amanti del cibo, la cucina è il luogo più frequentato dai ricordi. E' il l
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